LA DINAMICA DELL'ASSE VERGINE/PESCI
ovvero la ricerca del significato dell’esistenza

di Maria Teresa Mazzoni

Nella sequenza zodiacale l’Asse Vergine/Pesci “chiude” i due emicicli: quello notturno-involutivo che si è messo in movimento con l’Ariete e quello diurno-evolutivo che inizia dalla Bilancia. La “fine” dei due periodi comporta, come sempre avviene in ogni momento finale, una crisi che in questi Segni e nelle Case che li riflettono si manifesta attraverso una dinamica di oscillazione continua tra il fronteggiare le limitazioni insite nella vita e l’aspirazione dell’anima all’Infinito e al Tutto.

Nella Vergine a livello achetipico si percepiscono per la prima volta - dopo l’espansione eroica e gloriosa del Leone - i limiti che la Natura impone: siamo alla fine dell’estate e la Madre Terra ha già dato i suoi frutti; le giornate si vanno accorciando già da un po’, ma ora questa presenza più breve della luce, diventa visibile e l’uomo sente che la fertilità, la creatività, l’espansione, l’espressione della propria individualità non sono illimitate ma anzi possono finire. Si percepisce nettamente lo spezzarsi della perfezione iniziale; c’è la prima presa di coscienza dei limiti che incombono sulla vita umana: quello della fatica, del sacrificio, della malattia che può portare alla morte. Questa verrà sperimentata nello Scorpione e nell’8a Casa ma qui, per la prima volta, se ne avverte l’oscuro profilarsi mentre la fatica di un lavoro necessario alla sopravvivenza, l’incertezza del domani (questo è il periodo dell’anno in cui si stiva il raccolto in vista di un inverno al quale si cerca di sopravvivere), tutto ciò suscita un’ansia che si tenta di calmare attraverso quell’organizzazione meticolosa che non lascia niente al caso; si vuole dimenticare ciò di cui ci si è appena resi conto calandosi in una routine che psicologicamente può essere tradotta nel “niente nuove, buone nuove”. In questo settore si avverte quel senso della “fine” che si materializzerà nello Scorpione e nell’8a Casa; ma ora si sperimenta per la prima volta l’idea che l’esistenza possa non avere alcun significato e la paura che questa mancanza di significato genera. L’uomo comincerà a intravedere il senso della vita solo a partire dal Sagittario, ma è nella Vergine che si pone per la prima volta questa domanda che per il momento trova risposta soltanto nell’ordine della vita quotidiana e nello sguardo puntato verso terra, ossia verso le piccole cose di ogni giorno.

L’idea di onnipotenza sperimentata nella 5a C, deve ora confrontarsi con una dimensione di sacrificio e di responsabilità che viene spesso definita come “il difficile mestiere di vivere” ma la malattia può infrangere ogni speranza di farcela spingendo l’uomo a prender coscienza della sua umanità tutta intera.

Allora si fanno ancor più pressanti le domande sulle finalità o sul senso della vita ed è nel segno dei Pesci che da un punto di vista archetipico emerge come possibile risposta la visione del Tutto o Nulla. Qui nei Pesci si fa viva la tensione alla rinuncia dei propri desideri per ricongiungersi a quell’Assoluto che è Inizio e Fine al tempo stesso e in cui può ricomporsi quella circolarità data dal ritorno all’origine. Si vive la ricerca del Paradiso perduto o di quell’armonia che il dolore, la sofferenza, il sacrificio e la fatica della vita hanno frantumato.

Nel segno dei Pesci e nella 12a Casa che è la sua espressione sul piano terrestre, la ricerca del “significato” non riguarda più l’impegno quotidiano a vivere e ad occuparsi delle attività quotidiane di questo mondo; va al di là di questi confini per sfiorare la Totalità.

I limiti imposti dalla fatica, dal sacrificio e dal dolore hanno incrinato in modo irrimediabile l’aspirazione alla felicità e al godimento della 5a C; la reazione nella 12a può essere quella della fuga in cui ci si illude di negare la sofferenza, oppure la sua accettazione attraverso la pietà, la devozione, la spiritualità.

Nella prima ipotesi si fugge davanti alla prospettiva del Nulla rifugiandosi nei sogni a occhi aperti, nella droga, nell’alcool oppure nell’attivismo quotidiano, nel perseguimento di realizzazioni materiali che ci riportano al 6° segno e alla 6a Casa verso la quale si continua ad oscillare.

La scelta di una vita spirituale invece si basa proprio sul saper accettare la fatica materiale e morale, la realtà del dolore e della malattia; è una forma di umiltà e nel contempo di forza morale che propone il distacco dai continui e pressanti desideri del nostro Io egoico per ridimensionarci rispetto ad una diversa visione dell’esistenza. Questo distacco -tutt’altro che semplice- può a sua volta spingerci alla depressione, oppure può portarci ad un nuovo orientamento della nostra personalità; la scelta comprende comunque la possibilità di sbagliare e l’errore diventa poi la nostra Ombra, ossia quella parte di noi che rifiutiamo e ricacciamo nel buio ma che vedremo ergercisi nuovamente davanti come proveniente dall’esterno sotto forma ancora di limitazione, prigione o malattia; imponendoci quindi un’altra volta quell’oscillazione tra spirito e materia, terreno su cui si svolge la nostra ricerca del significato dell’esistenza.

Nella 6a Casa il lavoro necessario alla nostra sopravvivenza porta con sé la routine della vita quotidiana; una routine in cui la vitalità degli istinti, la vivacità dei desideri, la varietà delle aspirazioni vengono soffocate dalla immediatezza dei compiti da svolgere, dall’organizzazione pratica che viene richiesta, dalla fatica fisica e mentale. Qui le nostre energie più feconde si insteriliscono in una quantità di azioni che sono di per se stesse limitate; nella 6a Casa non si eseguono opere d’arte e non si compiono gesti eroici; si fa’ quello che è considerato il proprio dovere e ci si sottopone al logorio della quotidianità. Ci si muove sempre nell’ambito di confini ristretti: l’ufficio, la fabbrica, le mura domestiche; le azioni sono ripetitive anche se richiedono un’organizzazione razionale al fine di ottenere il più possibile pur disponendo di risorse limitate.

Allegoricamente è ancora un discorso di fine estate; di una terra ormai riarsa che non offre più nutrimento ma che proprio per questo motivo rende necessaria l’economia e la parsimonia, il controllo e la scrupolosità. Niente deve andare sprecato e la fatica ingrata dell’agricoltore è tutta volta a creare un senso di sicurezza. Lo stesso senso di sicurezza è ricercato nella 6a Casa attraverso un continuo sacrificio non scelto ma dettato dalla ragione: bisogna staccarsi dai sentimenti e dalle emozioni per attivare le facoltà critiche in modo da rendersi conto in maniera precisa di quale è la situazione; si devono analizzare le esperienze in modo oggettivo per poter conoscere la dura legge della vita e poterne eventualmente migliorare la qualità.

L’atmosfera gioiosa, solare, piena di promesse della 5a C o se vogliamo di una giovinezza che sognava un futuro glorioso, viene oscurata da una realtà piena di ombre, proprio come avvenne a Persefone, parte del mito della Vergine.

Persefone, figlia di Demetra dea delle messi, viveva sull’Olimpo immersa nella bellezza della natura di cui godeva, senza una precisa coscienza di sé e della vita. Aveva con sua madre un legame simbiotico che non le aveva permesso di acquisire una sua identità, finché un giorno Ade la rapì trascinandola con sé nel regno degli inferi. Così Persefone - che fino a quel momento non aveva conosciuto la separazione, il dolore, la morte - si scontrò con una nuova realtà misteriosa e drammatica. Persefone è il simbolo dell’anima umana che inizialmente vive seguendo l’istinto e che ad un certo punto - nella Vergine o nella 6a casa - conosce la separazione traumatica, affronta per la prima volta l’idea della morte (gli inferi sono il regno dei morti), sperimenta l’incertezza della vita e la preoccupazione per ciò che avverrà.

Demetra a sua volta non accetta la separazione dalla figlia e disperata dimentica il suo compito di dea delle messi e fa' appassire tutta la natura sulla terra. Il sacrificio che le viene imposto suscita in lei una sofferenza senza limiti; il cambiamento di situazione che il rapimento della figlia comporta, viene rifiutato; adirata con gli dei comincia a vagare per la terra finché Zeus, preoccupato per la sorte dell’umanità, manda Mercurio a prendere Persefone negli inferi. Ade però fa inghiottire alla sposa un frutto di melograno, simbolo della conoscenza, per cui Persefone stessa - avendo vissuto ormai un’esperienza di profondo cambiamento, avendo conosciuto l’amore e la passione, avendo acquisito una coscienza di sé completamente diversa - rifiuta di abbandonare il suo sposo e accetterà di passare con sua madre solo 6 mesi l’anno, restando gli altri 6 con il marito. Questa conclusione indica metaforicamente la fusione dell’istinto con la ragione - vera meta del segno della Vergine - ma la figura di Demetra prospetta la reazione dell’anima umana di fronte al dolore della perdita, di fronte al cambiamento dell’esistenza, di fronte al sacrificio. Un sacrificio non voluto ma imposto dalla vita e che per la sua inevitabilità suscita ansia, insicurezza, pessimismo.

Nella 6a C, l’Io della 5a viene inibito; si rende conto di come niente sia certo, di quanti ostacoli imprevisti - primo fra tutti la malattia ma c’è anche l’esiguità delle risorse e perciò la fame, l’insicurezza del lavoro - possono impedire la libera espressione della propria individualità progettata fino a quel momento. Le aspirazioni e le ambizioni personali diventano un peccato che scatena forti sensi di colpa; si cerca allora di dimenticare o di farsi perdonare - dalla vita o dagli dei - vivendo con precisione scrupolosa i propri compiti, perseguendo un perfezionismo che da un lato esorcizza la paura e dall’altro è il primo passo verso quella ricerca di Assoluto che sarà vissuta nei Pesci o nella 12a casa. Nella 6a la vita si prospetta in modo instabile e insicuro; il futuro è ignoto, la crisi - sotto forma di sacrificio, fatica, dolore, separazione - ci aspetta dietro l’angolo, motivo per cui il senso dell’esistenza sembra che si possa trovare solo nell’adempimento del proprio dovere, nella scrupolosità con cui si esegue il compito, nell’ordine meticoloso, e soprattutto in un’analisi critica che esamina tutto senza tralasciare nulla. E’ il trionfo della ragione, dell’intelligenza analitica, della razionalità pura. Ed è alla razionalità che ci si aggrappa per superare il senso di colpa di cui abbiamo parlato; questo nasce dalla estrema vulnerabilità in cui si trova l’uomo allorché comprende di non poter essere padrone di se stesso ma di “dipendere”. Dipendere da chi? Dai casi della vita oltre che dal capo ufficio; dalle necessità quotidiane oltre che dal destino; in una parola da quel fato che è il capriccio degli dei. L’uomo teme, forse da sempre, l’invidia di questi: che essi siano gli abitatori dell’Olimpo o il Dio della Bibbia sono sempre stati visti come collerici, gelosi e vendicativi motivo per cui basta poco per inimicarseli e il tentativo di essere se stessi (la famosa hybris di Prometeo, di Icaro e di altri eroi) o la ricerca della felicità sono le due cause di punizione divina più frequenti e terribili. Ecco allora che bisogna - diciamo - nascondersi, vivere nell’ombra e la 6a Casa è l’Ombra della 5a, è il ridimensionamento di tutte le ambizioni, è l’esilio dell’Io che qui si vede incatenato al dovere e al sacrificio, schiavo della sua limitatezza, del dolore, della malattia. L’Io è sperduto, ha perso la sua sicurezza perché ha sperimentato la sua fragilità; comincia a percepire la sua transitorietà e non capisce più il senso dell’esistenza. Tutto ciò che può fare è chinare il capo di fronte a ciò che sente ineluttabile ma anche attivarsi affinché questa ineluttabilità non lo trovi impreparato.

Mercurio, signore della Vergine e di riflesso della 6a Casa, qui non è più il Mercurio imbroglione e creativo, chiacchierone e improvvisatore dei Gemelli, ma è Ermes, portatore del caduceo, simbolo di tutte le capacità umane. E’ l’intelligenza che si sviluppa attraverso la discriminazione; è quella facoltà che sa separarsi dalle cose, prendere la distanza per arrivare ad una visione oggettiva del mondo. E’ la mente che si allontana dall’istinto per assimilare le convenzioni dettate dalla logica e per acquisire quegli usi che permetteranno poi nella Bilancia o in 7a Casa, di socializzare con gli altri. Sotto la sua spinta il lavoro diventa organizzazione, specializzazione, calcolo; il controllo - necessario per non essere sorpresi - è una disciplina mentre l’ordine non è solo metodo ma osservanza delle regole e la coscienziosità è frutto di una continua aderenza ai princìpi.

Il Mercurio della Vergine è il Logos che aprirà in seguito la strada alla trascendenza ma per il momento è ancora l’artigiano abile e ingegnoso che, come ha costruito la lira con la pelle dei buoi di Apollo, può utilizzare ogni risorsa al fine di rendere più pratico, più veloce, meno faticoso il lavoro quotidiano, senza sprechi e perdite di tempo.

Qui Mercurio è il portatore del caduceo, emblema della medicina; esso fa di lui un guaritore così come ci ricorda i suoi poteri magici: la magia dello sciamano che conosce i segreti delle erbe e della natura; dell’agricoltore che ancora una volta arerà e seminerà la terra per farne nascere altri frutti; degli alchimisti che volevano estrarre lo spirito dalla pietra.

La Vergine e la 6a Casa rappresentano lo sforzo che l’uomo fa per rendersi conto di ciò che accade intorno a lui e dargli un ordine; si cerca di ritrovare il “senso” perduto partendo da quella che è la realtà manifesta. Mercurio, mente logica, soprassiede a questi processi il cui fine ultimo è l’utilizzazione pratica di ciò che si è appreso, di ciò che si conosce, di ciò che si è sperimentato; esso è l’attenzione che si concentra sui particolari perché nella 6a casa contano i risultati concreti e questi sono il frutto non solo di un lavoro preciso ma anche di un’attenzione meticolosa.

Il segno della Vergine e la 6a C sua cosignificante appartengono ancora al regno dell’individualità e l’Io - a partire dall’Ariete - vive esperienze diverse ma tutte legate alla percezione di se stessi come esseri unici e irripetibili; l’espressione massima di questa percezione si ha nella 5a C mentre nella 6a c’è il ridimensionamento di cui abbiamo parlato anche perché ci si accorge di non essere “unici” ma “molti”: tutti uguali, tutti limitati, tutti con le stesse paure e preoccupazioni. Solo dalla Bilancia o 7a C in poi la percezione degli “altri” sarà vissuta come “apertura verso l’esterno”, possibilità di unione e collaborazione, quindi ampliamento delle proprie forze e spostamento dei limiti. Nella Vergine si avverte invece la ristrettezza di uno spazio troppo affollato; si vive il problema del “basterà per tutti?”, quindi ancora una volta della limitatezza delle risorse, della necessità di organizzarsi con regole anche gerarchiche. Nella 6a C esiste “il superiore” e “l’inferiore”; c’è soprattutto un “gregge” che deve seguire il pastore. Il pastore conosce la strada e i pericoli; il gregge deve seguirlo in modo disciplinato e senza curiosità che si rivelerebbero come molto pericolose.

La visione della vita si restringe nel momento in cui si riconosce l’autonomia della Natura e si vive la paura delle sue forze generatrici e nel contempo distruttrici; il senso dell’imperfezione umana attiva la nostra riflessione sulla nostra caducità; si avverte la forza schiacciante della “morte” che si profila sotto l’aspetto distruttore della Grande Madre Terra. Solo il pensiero razionale del Mercurio in Vergine può progressivamente liberare l’uomo dai legami inconsci con questa Natura, eliminandone i tratti più inquietanti e facendogli recuperare il senso di un “femminile” materno dispensatore di vita, di aiuto e consolazione. Siamo psicologicamente e culturalmente al passaggio dalla vergine Proserpina dea degli inferi alla Vergine cristiana madre di Dio che intercede per noi; è il passaggio da un Io che ha perso il senso del suo esistere ad un Io che accetta la realtà e rinuncia all’idea della propria autonomia per arrivare

nei Pesci o nella 12a C - alla possibilità di una conquista più alta: quella che ridarà veramente significato alla vita.

Nella Vergine il senso del dolore e della sofferenza sono legati alla constatazione che non esiste una condizione privilegiata o quanto meno protetta: l’uomo cammina nel mondo in condizioni di grande vulnerabilità perché è esposto alla malattia, alla separazione, alla fame, al dolore. E’ un precario e questa precarietà genera angoscia; da questa angoscia però nasce la consapevolezza di sé, dei propri limiti e delle proprie potenzialità. Queste nella 6a C o nella Vergine vengono attivate ad un livello pratico/organizzativo perché inizialmente sono le questioni fisico/materiali che preoccupano, ma attraverso un percorso in cui si passerà più volte dalla speranza alla paura: nella Bilancia ci si allea all’altro ma nello Scorpione si sperimenta la morte, nel Sagittario si profila la trascendenza ma nel Capricorno si apprende come il superamento delle difficoltà comporti la solitudine e infine nell’Aquario si spera che il progresso possa essere la soluzione cercata ma solo nei Pesci si intuisce la meta - solo attraverso tutti questi stadi, dicevamo, si può accedere a quel diverso stato di coscienza in cui regna la nostalgia per l’Unità perduta ma vive anche la Speranza di riconquistarla ricongiungendosi alla Totalità.

Siamo nei Pesci o nella 12a C dove, come abbiamo già detto, vive la spinta ad oltrepassare tutti i confini: non solo quelli del quotidiano ma quelli del tempo e dello spazio per potersi affacciare sull’eternità.. Si cerca di superare la fatica, il dolore, i limiti del nostro essere umani accettandoli, servendoli e servendosene come trampolino di lancio verso quel Tutto da cui si viene e a cui si vuole tornare.

Qui è forte il desiderio non solo della salvezza ma della “redenzione”; per vivere infatti l’anima deve incarnarsi ma l’incarnazione con i suoi precisi confini - secondo tutte le religioni - è frutto di un “distacco “ e di una “caduta”; per risalire nuovamente e riunificarsi l’anima deve redimersi. Nei Pesci o nella 12a C si vuole questa redenzione anche se essa può rappresentare un conflitto riguardo ai valori individuali e collettivi, e con la sua spinta può trascinare l’uomo alla dissoluzione della propria individualità.

Psicologicamente sia Freud che Jung hanno cercato di spiegare questo impulso al “sacro ritorno”; il primo lo ha visto come la sublimazione di un desiderio incestuoso; il secondo come una irresisitibile predisposizione archetipica pari al bisogno di procreare. Che sia vera una o l’altra ipotesi o entrambe, ciò che conta in questa sede è capire come il desiderio di redenzione e riunificazione sia ciò che si nasconde dietro tutte le manifestazioni della 12aC o del segno dei Pesci: dall’arte al misticismo, dalla malattia all’assistenza, dalla devozione al sacrificio. Esso è quel “significato” che si è perso nella 6a C ma mentre lì si è cercato di colmare il vuoto attraverso le soluzioni pratiche e il perfezionismo, qui si sperimenta una sete di Assoluto che può assumere la forma di un ideale - sociale, politico, religioso - un ideale a cui si assoggetta la propria vita cercando di realizzare progetti la cui portata sorpassa di gran lunga la piccola quotidianità della 6a C.

La via della redenzione può passare attraverso la capacità di vivere la sofferenza in prima persona o di attivare quella solidarietà profonda che porta a confrontarsi col dolore degli altri e a confortarlo; la redenzione sta nell’abbracciare la Croce, simbolo cristiano e, da sempre, simbolo anche dell’incarnazione. Cristo si è sacrificato e si è fatto crocifiggere per espiare i peccati degli uomini, redimerli e riaprire per loro le porte del Paradiso; sacrificare coscientemente se stessi è quindi la condizione necessaria per realizzare questo mitico sacro ritorno mentre abbracciare la croce vuol dire accettare simbolicamente il nostro essere imprigionati nella materia. Nella 12aC c’è la conoscenza più o meno consapevole di questo percorso dell’anima; si vive una sorta di “solitudine” che, contrapponendosi alla “moltitudine” della 6a, fa sentire la necessità di una ricerca individuale incerta e difficile perché può portare alla liberazione o al confinamento, alla guarigione o alla malattia non più solo del corpo ma dell’anima stessa.

Depressioni, nevrosi, angosce possono assalire colui che è solo; che lo si sia davvero o ci si senta tali, nella 12a si vive comunque un senso di abbandono e di smarrimento, uno stato di ansia perché si sente o si teme di aver perso la connessione col Tutto. La solitudine può essere incomunicabile al punto da sentirsi esclusi dal mondo esterno: ci si sente allora incompresi, si avverte un senso di inutilità, mentre la mancanza di rapporti o di stimoli porta alla paralisi dei desideri e quindi all’angoscia, alla depressione, alla follia o ad altre forme di distruzione. Nella 12a C si vivono però anche altri tipi di solitudine: quella cercata come raccoglimento, riflessione e rielaborazione; quella che porta alla meditazione, alla contemplazione o alla creatività o più semplicemente quella vissuta per non lasciarsi imprigionare dalla mondanità e quindi per approfondire il rapporto con se stessi e cercare la propria identità. Esiste infine, sempre nella 12a, la solitudine/fuga: quella che può spingere a coltivare un proprio giardino segreto dove ci si ritempera dalle lotte della vita lasciando libero corso alla fantasia; o quella che può spingere all’evasione dalle difficoltà e responsabilità cercando aiuto nell’alcool o nella droga o in situazioni di vita estreme. In tutte queste forme di solitudine c’è un percorso comune che è quello dell’isolamento; che esso sia ricercato volontariamente o imposto dal mondo o dalla vita - sembra necessario per poter ridare un diverso ordine e significato alla realtà. Questa non è più vista come un insieme di problemi contingenti da superare con razionalità e organizzazione ma di cui ci sfugge la finalità; la vita nella 12a C o nei Pesci acquista invece una dimensione assoluta il cui valore ultimo - anche nei casi più distruttivi - è il ricongiungimento all’Origine e alla Totalità.

Il bisogno di valori assoluti è una espressione dell’inconscio/12a C; esso spinge a cercare di trasformare la propria natura istintuale attraverso altri valori creati dall’anima stessa. Secondo Jung infatti è l’anima che trasforma l’istintualità in arte, in devozione, in ideali umanitari; l’anima cerca di liberarsi dall’ombra della morte attraverso una evoluzione graduale delle sue manifestazioni coscienti e lo strumento principale di questa trasformazione è l’immaginazione. Questa ha - sempre secondo Jung - una funzione compensatrice; ecco quindi che alla sensazione di insicurezza, limitazione, precarietà e perdita di senso della 6a C, si reagisce nella 12a con il sogno della redenzione.

Il mito della redenzione è di gran lunga antecedente alla morte di Cristo; il tema del sacrificio volontario della propria vita a favore dell’umanità fa parte dell’immaginario collettivo e si ritrova più volte nella storia umana: Dioniso è stato smembrato, Attis è stato castrato, a Prometeo è stato divorato il fegato e poi ci sono ancora Osiride e Orfeo, anch’essi uccisi e smembrati; sono tutti salvatori che per riscattare gli uomini hanno dovuta immolare se stessi. Il redentore è quindi una vittima e il prezzo del riscatto è sempre la propria morte; ma si muore ad un livello per rinascere ad un altro: non solo Cristo è infatti risorto dopo tre giorni ed è asceso in cielo ma Dioniso - ucciso, smembrato e mangiato dai Titani - è rinato dalla coscia di Zeus, inizierà poi gli uomini ai suoi Misteri e salverà Arianna, simbolo dell’anima umana, a cui si unirà in nozze mistiche. Attis rivive anche lui come dio della vegetazione; Osiride a sua volta viene rianimato dalle cure di Horus e di Iside, diventando così simbolo della vittoria sulla morte¸ e perfino la testa di Orfeo, pur staccata dal corpo, continuerà a cantare e alla fine diventerà un oracolo.

La redenzione quindi - con tutto ciò che comporta di sacrificio, morte e resurrezione - è un processo magico o miracoloso attraverso cui un essere mortale diventa portatore di immortalità. Nella 12a C o nel segno dei Pesci si vuole l’immortalità; qui si cerca di superare non solo tutti quegli ostacoli e la perdita di significato vissuti nella 6a C ma anche l’annientamento mortale dell’8a. Per superare questo limite estremo non resta che immergersi totalmente in qualcosa di molto più grande dell’individuo singolo e della sua vita quotidiana; la fede, l’arte, la spiritualità, l’amore sono i possibili percorsi in quanto probabili sinonimi della divinità; sono sicuramente i veicoli attraverso i quali si possono superare le barriere del tempo e dello spazio per raggiungere l’eternità; sono ciò che può sollevare l’uomo dalla sua dimensione carnale e terrestre per riconnetterlo a quel Tutto da cui si è staccato; ma questi limiti possono essere infranti anche da un percorso distruttivo-regressivo che porta l’uomo al confinamento, alla prigione, all’annullamento della propria apparente libertà.

Nettuno, signore dei Pesci e della 12a C, è l’archetipo dell’integrazione e della dissoluzione universale. Esso, secondo alcuni, rappresenta la “materia prima”, quella con cui Dio ha impastato Adamo; ma è sicuramente simbolo dell’acqua primordiale e della fusione finale. Nettuno è il dio del mare; governa sugli abissi dell’oceano e il suo regno è ciò che esiste all’inizio e alla fine di ogni ciclo cosmico, ossia l’Acqua che conserva la memoria del passato e contiene i germi del futuro. Esso è quella tensione ad uscire fuori di noi per poterci fondere completamente con l’altro, con l’ideale, o con Dio; esso si manifesta nelle visioni del folle, del mistico o del drogato ma si esprime anche nella capacità di contattare l’inconscio collettivo attraverso l'arte o la veggenza. E’ quel principio di ricettività passiva che parla mediante l’ispirazione o la medianicità, attraverso l’intuizione o l’utopia ma sta anche alla base di tutti i mostri che affollano la fantasia umana e simboleggiano quella serie di paure legate alle primissime esperienze della vita. La nostra vita ha inizio nell’acqua del liquido amniotico e per venire alla luce dobbiamo faticosamente percorrere il cosiddetto “canale di parto”: è in quel momento che possono nascere il senso di soffocamento e la claustrofobia, il terrore del buio e la paura dell’acqua, ma soprattutto il panico per quella specie di pozzo senza fondo che può risucchiarci nella morte o nella follia. Queste fobie sono tutte legate a Nettuno e alla 12a C e rivelano il nostro rifiuto ad abbandonarci e la resistenza che ooponiamo quando si tratta di affrontare l’ignoto o ciò che si nasconde dentro di noi. Nettuno è quindi la paura, l’ansia ingiustificata, la fuga evasiva che si sperimenta nella 12a C e che si oppone all’attenzione vigile della 6a. Ma Nettuno ha anche una componente idealistica che spinge ad attribuire qualità speciali anche a persone comuni, come ad esempio gli attori o i calciatori; c’è una tendenza proiettiva in Nettuno che può spingere verso esperienze di partecipazione mistica; queste si manifestano soprattutto durante certe occasioni di raduno collettivo come gli incontri sportivi o i concerti di musica rock dove si vive un senso di esaltazione che ricorda quella delle feste orgiastiche i partecipanti danzavano sfrenatamente e gli animali venivano squartati e divorati per realizzare la comunione con il dio.

Il segno dei Pesci e la 12a C sono il regno di Nettuno e ci si vive questa tensione o aspirazione esaltata alla comunione col Tutto; la forte sensibilità, l’intuizione telepatica porta non solo a recepire i problemi degli altri ma a farli propri in una sorta di partecipazione emotiva e psicologica analoga alla partecipazione mistica di cui abbiamo parlato. Qui si è come spugne che assorbono i sentimenti e le emozioni, le sensazioni e i conflitti, le paure e le ansie che affliggono l’ambiente intorno; ce se ne può appropriare in uno slancio di amore oblativo che aspira a riscattare le sofferenze umane e a superare ogni ostacolo e ogni barriera per tornare alla perfezione dell’Inizio; ma si può anche piombare nell’irrazionalità più totale cercando di fuggire disperatamente tutto ciò che può ricordare i limiti, la fatica, le costrizioni della 6a C. Si può sperimentare così la distruzione, la chiusura, la pazzia, mentre nel primo caso si può vivere un’esperienza visionaria e di sacrificio simile a quella che si vive nei vari culti di redenzione. Nella 12a C si è capaci di abbracciare non solo la propria croce ma spesso anche quella di qualcun altro; ci si può immolare sull’altare di ideali politici o religiosi e ci si può annullare nella dedizione a una causa o a una persona, identificandosi sempre con la vittima che è al tempo stesso redentore. Se nella 6a C si viveva il ruolo del guaritore del corpo, qui si impersona quella del salvatore spirituale; ma anima e corpo sono entrambi sempre presenti nei Pesci o nella 12a C, come indica il glifo dei due pesci che nuotano in senso contrario. Si cerca la salvezza dello spirito sacrificando il proprio corpo, come indicano tutti i miti religiosi, ma proprio l’immolazione - materiale ed esistenziale - fa emergere la dualità, archetipo di questo segno. Essa viene vissuta come una dolorosa spaccatura tra il mondo del corpo e quello dello spirito; una frattura che paradossalmente diventa una catena da spezzare. Uno dei due pesci rappresenta la materia bassa, vulnerabile e destinata alla mortalità; l’altro simboleggia lo spirito incorruttibile, ossia l’elemento che offre la salvezza attraverso la sofferenza e il desiderio di redenzione. Gli individui pascini, nettuniani o con una forte 12a C possono identificarsi con uno solo dei due pesci ma il loro inconscio sarà posseduto dall’altro perché il dualismo insito nel segno comporta sempre la presenza di entrambi, al punto che l’individuo più ascetico è in realtà una persona fortemente sensuale che convoglia nel sacrificio e nella mortificazione la carica della sua sensualità, mentre colui che si abbandona ai desideri della carne può vivere fantasie di spiritualità e redenzione che sono parte integrante della sua sensualità.

Ma il sacrificio di una parte di sé, presente nell’ascetico e nell’edonista, in colui che vuole redimersi e redimere ma anche in colui che cerca nel lavoro meticoloso della 6a C il mezzo per arginare l’ineluttabilità della natura o del destino - questo sacrificio è il tema dell’Asse Vergine/Pesci e si riflette sia nella fatica fisica della 6a C che nel dolore esistenziale della 12a. Ed ecco così che l’esperienza sacrificale del singolo rispetto al Tutto o di una parte inferiore di sé rispetto a quella superiore, diventa la meta sognata che ridà il significato che si era perduto.

Questo può essere il risultato di quel processo di individuazione di cui parla Jung e che è centrato proprio sul sacrificio dell’Io a favore del Sé, sul ridimensionamento del desiderio di onnipotenza egoica della 5a C e sulla liberazione dei condizionamenti della 6a, per potersi identificare con qualcosa di più vasto; ma questa spoliazione comporta sofferenze tali da essere definite da Jung stesso come “compito eroico o tragico”. Ed è sempre un compito eroico o tragico quello che si vive nella 12a C perché qui il dolore e la sofferenza non sono più letti in chiave di adattamento e sopravvivenza come nella Vergine - ma come immolazione volontaria al fine di realizzare un bene più grande. E quale bene è più grande per l’uomo del superamento del dolore, della separazione e della morte? Soccorrere, consolare, identificarsi con chi soffre è spesso l’espiazione che si vive o si cerca nella 12a C, ma il sacrificio che si consuma qui o nel segno dei Pesci è un’offerta di sé che non chiede ricompense o vantaggi personali. Cristo, di cui il segno dei Pesci è il simbolo, si immola sulla croce per il bene dell’umanità intera e altrettanto fanno tutte le figure di redenzione che i miti ci tramandano. Questa donazione non chiede niente in cambio, si spoglia di ogni pretesa e diventa espressione di un amore senza condizioni che si arrende all’altro rinunciando alla propria vita o alla propria individualità. Nei Pesci o nella 12a C l’amore, anche quello umano per il partner, è spesso vissuto come un’esperienza di fusione mistica in cui l’incontro ha un senso che trascende il momento, il luogo e la durata. C’è sempre un’aspirazione all’eternità che si contrappone al senso di precarietà e transitorietà della 6a e se lì ci si difende anche dall’amore con la razionalità e la ripetitività del quotidiano, nella 12a si tende a vivere come sacro e immortale anche il dolore e il vuoto che si sperimentano quando l’amore finisce. Perché è con questo dolore e questo vuoto che l’anima deve stabilire un dialogo se vuol sottrarsi al bisogno quasi fisico di steccati, difese, punti di riferimento messi in atto nella 6a C e tutto quello che lì era visto come incombente, inevitabile, costrittivo - qui è vissuto come estrema possibilità di riscatto. La solitudine e l’isolamento che si sperimentano nella 12a c sono allora la condizione necessaria per incontrare la propria verità interiore: gli eremiti, gli asceti, i loro ritiri nel deserto testimoniano questa ricerca e d’altra parte se nella Vergine o nella 6a C si cercava di guarire il corpo, nella 12a si vuole guarire l’anima. Questa guarigione tuttavia è un processo di crescita interiore che si può attuare solo rinunciando a quello spirito di adattamento alla vita che si era realizzato nella 6a; qui si vive ancora una volta l’abbandono totale - oltre che all’Altro, all’amore e alla donazione di sé - alle forze cosmiche che governano la vita, al flusso dell’esistenza, alla gioia e al dolore che essa comporta ma anche all’annullamento della propria libertà fisica o alla disintegrazione della propria volontà individuale. La “fatica di vivere” della Vergine o della 6a C qui diventa “il coraggio di vivere” fino in fondo; un coraggio che avverte il malessere esistenziale che affligge l’uomo ma lo accoglie come suggerimento di una nuova dimensione e indicazione per un percorso significativo.

Nella 12a C vivono con il nostro inconscio i ricordi che giacciono al di sotto della memoria cosciente e quindi anche il ricordo di quella prima separazione dalla madre operata dal taglio del cordone ombelicale; questa è il prototipo di tutte le separazioni successive che ciascuno di noi vivrà lungo il corso dell’esistenza. La morte, separazione estrema, nel segno dei Pesci o nella 12a c non è il limite della vita o il drammatico riconoscimento della propria transitorietà che si vivono nello Scorpione o nell’8a C, ma è un ultimo confronto indissolubilmente legato al SIGNIFICATO che viene dato alla vita.

Vita e morte fanno parte di un’unica realtà ma mentre per la cultura orientale la morte è uno solo dei tanti passaggi da una forma ad un’altra in un susseguirsi di esistenze tutte illusorie - per noi occidentali la morte è tremendamente concreta, è l’ultimo oscuro incontro con il nostro destino di esseri limitati, finiti, mortali. Noi fuggiamo l’idea della morte e questa può essere anche una della tante spiegazioni riguardo alla vita alienata, consumistica e competitiva che conduciamo, ma la morte non può comunque essere evitata e anche se cerchiamo di non parlarne essa è in noi e rappresenta il momento culminante della nostra esistenza. E’ il momento in cui il grande mistero viene svelato; è l’attimo in cui possiamo intuire la grande legge che governa l’apparente casualità della vita e dell’universo stesso. Ecco quindi che se la conoscenza razionale della Vergine o della 6a C ci ha dato i mezzi necessari a sopravvivere - è solo il totale abbandono a quella che Jung chiama “participation mistique” che può spingere la nostra conoscenza al di là del visibile e del tangibile ed è nella 12a C che si può trovare la risposta al grande “Perché” ricreando un nuovo significato che può dare ancora senso alla nostra esistenza. Questo significato si può cercare nello slancio oblativo che aspira al ricongiungimento o nella regressione distruttiva che porta all’annullamento; ma lo scopo è sempre quello: redimersi per salvarsi e riunificarsi a quel Principio che ci ha generato, ricomponendo in questo modo la circolarità perduta.